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, di Gianluca Sonnessa


"Devo andare, ma tu ricorda di starmi vicino."

Fu l'ultima frase che non potevi pronunciare, ma io la sentii chiaramente.

Il sole spento di quel mattino mi gelava le ossa e irrigidiva i muscoli mentre vapore e spirito uscivano dalle mie labbra salendo, sempre più in alto, per sposarsi distrattamente con le nuvole.

Quel giorno il cielo ha lasciato piovere le mie lacrime, ma tu non sapevi.

Io non sentivo che il vuoto, mentre cercavo il capo di quel filo capace di unire i nostri sguardi nei secoli, che vestiti da frazioni di secondo correvano, inesorabili, crudeli e compassionevoli come ciò che stavo per farti.

"Devo andare, ma tu ricorda di starmi vicino."

La frase che non hai pronunciato cambia il ritmo del mio torace quando scoppia dentro.

E sorrido la disperazione, stanco di non sentirla con le orecchie, ma solo con il cuore.

Abbiamo ascoltato "Hai un amico in me", la tua testa poggiata sulle nostre magliette, le magliette sulle mie ginocchia, le ginocchia sul pavimento ghiacciato.

Book ha smesso di sorridere.

Lei è stata gentile, ma come ogni persona non ha trattenuto la superficialità dello sbaglio.

Dopo la terza iniezione ha detto che non c'eri più.

Ma io non ti ho detto addio.

Non si dice mai addio a un fratello.

Ti saluto ogni sera, prima di dormire, gettando gli occhi lucidi nei tuoi malinconici, imprigionati dentro la foto che tengo sul comodino.

Poi tolgo la maglia, e chiedo al sonno di lasciare la porta aperta, così, se vorrai, potrai venire a trovarmi, per giocare ancora una volta.

Che non è mai l'ultima.

"Devo andare, ma tu ricorda di starmi vicino."

Certo, fratello.

Tu non smettere mai di muovere la coda.


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