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STENOS OPAIOS PT. 2 di Gianluca Sonnessa

Noi giganti mangiamo con le mani lasciando cadere le briciole.

Le formiche si devono accontentare, guai se provano a risalire le gambe del tavolo.

Abbiamo mani curate che strappano foreste e un respiro per avvelenare l'aria. 

Siamo soldi. 

Siamo armi. 

Slogan. 

Noi siamo il cancro, la solitudine figlia del progresso, il passo indietro capace di calpestare il passato, ignorare il presente, sporcare il futuro. 

Accendo la milionesima sigaretta, lei fuma un'altra ora della mia vita. 

La notte tossisco via pezzi d'anima che iniziano a viaggiare per poi posarsi su addomi gonfi color d'ebano. 

Mosche e larve. 

Hamburger e patatine. 

Fango e banconote da cento euro giocano sui secoli al tiro alla fune. 

I trefoli stanno cedendo, uno dopo l'altro, ma siamo troppo lontani dal centro per capirlo. 

E noi cambiamo i vestiti, cambiamo lo sguardo indossando quello più accattivante da imprigionare in una fotocamera frontale da diciotto megapixel, il sole ci guarda preferire il fascio istantaneo di un flash led a lui. 

La parola crea, la parola distrugge. 

Sono stanco, portami un caffè nero. 

Una penna e un foglio bianco.

Devo disegnare un bambino che tiene in mano il suo palloncino. Non ho le parole giuste per il suo sguardo, ho il mio sguardo perso nel suo stupore che chiamo salvezza. 

Un altro trefolo cede. 

Forse l'ultimo. 

E ora, tutti, ricchi e pezzenti sono uguali. 

Tutti sono caduti, in questa gara non esistono i vincitori. 

Siamo tutti seduti, e finalmente salvi. 

Il nostro sguardo incontra quello dei bambini e dei cani. 

E loro ci tendono le zampe e le mani mentre il cielo scatta una foto. 

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